Ah, l’affascinante mondo delle osterie italiane!
Luoghi di convivialità, chiacchiere e, naturalmente, di vini artigianali o almeno così vorremmo crederlo.
Ma oggi ci concentriamo su un termine che circola tra i tavoli di bottiglie e calici: “infinocchiare”.
E no, non stiamo parlando di una nuova danza popolare o di un intrigo amoroso, ma di un’arte consumata che merita la nostra attenzione e un sorriso.
Il termine, in effetti, ha radici storiche che affondano in certe osterie dove il vino, quello buono, veniva sapientemente miscelato con finocchio crudo!
Sì, avete capito bene.

Non stiamo parlando di un contorno gourmet o di una nuova tendenza culinaria, ma di un piccolo stratagemma per mascherare il sapore del vino che stava per andare a male. Sappiate, cari amici del palato, che il finocchio non è solo un aromatico spuntino, ma anche un piccolo genio del travestimento.
Il segreto sta nel suo contenuto di anetolo, una sostanza che si comporta come un anestetico per le papille gustative.
Immaginate di essere seduti a un tavolo di un’osteria, con il vostro calice di vino “fresco”e con fresco, intendiamo fresco di qualche annetto in più del previsto!
Arriva il cameriere con un piattino di finocchio crudo, e il vostro istinto vi dice “Ma che ci fa il finocchio qui?”.
Velocemente, però, lo assaggiate ed ecco: il sapore aspro e rancido del vino svanisce!
Voilà, siete stati “infinocchiati”!
Ma c’è dell’ironia in tutto questo.
L’idea stessa di dover “infinocchiare” il cliente per farlo bere un vino che dovrebbe essere accettabile per quanto lo paghiamo ci fa venire da ridere.
In effetti, è come se il vino si fosse travestito da finocchio un po’ come un attore sgangherato in cerca di un ruolo in una commedia.
È un po’ il sogno di ogni produttore di vino: presentare un nettare che faccia dimenticare le sofferenze di annate difficili con una semplice fetta di verdura!
Oggi, però, il termine “infinocchiare” si applica anche a situazioni più ampie, a quei momenti in cui ci si sente un po’ presi in giro nella vita di tutti i giorni.
Che si tratti di un vino servito in una bella bottiglia ma con il contenuto discutibile o di una promessa di campagne pubblicitarie che si rivela essere una trappola, infinite occasioni si presentano per “infinocchiare” il malcapitato di turno.
Quindi, la prossima volta che vi trovate in un’osteria, guardate attentamente il vostro vino e il piattino di finocchio.
E se siete tra i fortunati che non dovrebbero mai essere “infinocchiati”, brindate!
Perché, alla fine, la vera arte del buon vino è proprio quella di saperlo gustare e condividere, senza trucchi né inganni.
E ricordate: un buon calice di vino dovrebbe portarvi gioia, non finocchi!
Angelo Infurna